Estratto dal libro: Conoscere il Segugio Maremmano
Di Sergio Leonardi
Questo nostro vecchio ….Nuovo amico.
Viaggio tra ricordi e nuove esperienze alla scoperta di pregi, e difetti di quest’ausiliare, le prove di lavoro, i risultati, le prime cure.
Prefazione
La continua ricerca e richiesta del Segugio Maremmano, mi hanno stimolato come cacciatore che esercita la caccia da molti anni; come cinofilo, giudice Federale F.I.d.C., Fidasc e Pro Segugio, a raccogliere dati, impressioni, racconti, tradizioni popolari, nell’intento di fare un sunto di tutto ciò che può essere questo cane, o quantomeno avvicinarsi di più alla sua realtà.
Il mio non vuol essere un libro su i Segugi, ma il manuale del segugio Maremmano, rivolto a tutti coloro i quali intendono avvicinarsi o vogliono saperne di più su questo cane, che per tradizione è compagno a tante avventure cinofile di generazioni di cacciatori, Maremmani. Toscani.
Il suo uso si sta diffondendo in altre regioni Italiane, affronta terreni, climi, selvatici, e mentalità diverse da quelle che da sempre sono state impartite ai suoi progenitori e che geneticamente si riscontrano nei nuovi allevati; pertanto ritengo doveroso per chi si avvicina a quest’ausiliare, la cui specializzazione è il cinghiale, specie se neofita, debba necessariamente essere a conoscenza di ciò che ha in mano.
Trasmettere nozioni dei regolamenti e dei criteri di giudizio inerenti alle prove di lavoro, al fine di dare al concorrente una base conoscitiva per poter meglio condurre e interpretare il lavoro dei cani.
La caccia, una volta esercitata per fini di necessità, oggi è un insieme di tante altre cose, spesso troppo malvista, inutile citarle, ma fondamentale è mantenere le tradizioni, la cultura cinofila, impartitaci dai nostri predecessori.
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Indice
Capitolo 1 – Le origini
Capitolo 2 – Doti venatorie
Capitolo 3 – La leggenda
Capitolo 4 – Il riconoscimento ufficiale
Capitolo 5 – Lo Standard morfologico
Capitolo 6 – Nozioni di zoognostica applicata
Capitolo 7 – Lo Standard di lavoro
Capitolo 8 – Il maremmano oltre suoi confini
Capitolo 9 – Le prove o verifiche Zootecniche
Capitolo 10 – Il primo soccorso (nelle ferite)
Capitolo 11 - I Risultati
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Le origini
Il Segugio Maremmano. Chi tra i cacciatori non conosce questo nostro ausiliare? Certamente coloro i quali non esercitano la caccia al Cinghiale. In Toscana è sempre più diffuso, e richiesto in campo Nazionale.
Parlare di cani è sempre un argomento molto delicato e suscettibile a critiche, gli organi competenti, gli allevatori, i proprietari, leggano e ascoltano sempre con una particolare attenzione certe affermazioni, pertanto consapevole di questo, intendo esprimere il mio pensiero, tanto più che raggiunto il traguardo dell’iscrizione all’ “L.I.R.” ogni affermazione può essere in parte giusta, ma sempre fatta da chi è cacciatore, cinofilo, Giudice Federale ed ha visto e sentito lavorare per anni questo soggetto.
La sua nascita
Molti opinionisti e “articolisti” attribuiscono origini più disparate pertanto la mia versione sarebbe una delle tante, ma una cosa è certa, le sue origini sono da sempre il cane dei “cignalai” dei cacciatori toscani, della bassa e alta Maremma.
Della maremma. Il cane che legato al pagliaio (per ben intenderci fatto con accumulo di fieno intorno ad un palo (lo Stollo), eretto in verticale, che oggi difficilmente si riesce a vedere se non nei quadri dei Macchiaioli o post-Macchiaioli) restava in compagnia della sua ciotola (eufemismo di barattolo) d’acqua che sempre più si scaldava al sole mentre, questi girava intorno con il girare dell’ombra, nell’attesa della sciolta e di un tozzo di pane.
La sciolta avveniva allorché il signorotto, il nobile del luogo invitava i suoi ospiti a battute di caccia nelle proprie terre, e per ben figurare oltre a sciogliere i suoi cani, di rango (tenuti e curati da apposito addetto di fattoria) faceva venire altre persone dal contado le quali oltre a fungere da “scaccini”con urla e grida, portavano i propri cani, quest’ultimi tenuti sì per passione venatoria, ma soprattutto per necessità perché alla fine della giornata dividevano ciò che restava, una volta soddisfatte le esigenze del signore e degi ospiti.
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Certamente è fuori dubbio, che il Segugio Italiano abbia origini che sì perdono nel tempo, giacché testimonianze si riscontrano dall’esame di numerosi disegni Egizi delle epoche Faraoniche, che rappresentano cani dell’antico Egitto molto rassomiglianti al segugio attuale.
Cani del medesimo tipo e statura si trovano effigiati nelle due statue di “Diana Cacciatrice” e di “Diana scoccando l’arco”, rispettivamente nei musei di Napoli e del Vaticano. Nel castello di Borso d’Este risalente al ‘600, un dipinto ritrae perfettamente somigliante il nostro attuale Segugio Italiano, questo denota dunque l’uso di questo cane nella caccia nobiliare.
Testimonianze e aneddoti raccontano di scappatelle, se non costrizioni (nei matrimoni celebrati nel contado, la prima notte della sposa spettava al signorotto). Ancora oggi si evoca ed è famosa a Dolceacqua la Festa della michetta tra la notte del 15 e la mattina del 16 Agosto: con la Sagra della Michetta si ricordano le gesta della giovane Lucrezia che, nel XIV secolo, si ribellò alla tirannia di Doria, signore locale, rifiutandosi di sottostare allo "jus prime noctis". Allora i signorotti locali potevano, esercitando questo "diritto", giacere per una notte con una promessa sposa.
Rapporti tra nobili e comuni mortali si ritenevano allora generassero bastardi o “sangue misto”, ed allora di riflesso perché non pensare che qualche nobile e libertino ausiliare, abbiano voluto emulare il suo proprietario, trovando compagna di lascivi consensi e facili costumi, in una battuta di caccia?
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Il Segugio Maremmano, fino ad ieri considerato bastardo o impuro, oggi giustamente è rivalutato perché generazione dopo generazione, si presentano soggetti alla nascita aventi le stesse caratteristiche morfologiche e caratteriali, anche se molto lavoro selettivo deve essere condotto, con serietà e discernimento, scevro da interessi commerciali ed euforici del momento...
Le sue origini sono indubbiamente postume al Segugio Italiano, e personalmente non sottovaluterei la lontana parentela, con il suo nobile conterraneo appartenente alla razza canina, visto che i tre esemplari dal manto fulvo a pelo raso, fulvo a pelo forte e nero-focato si riscontrano in entrambe le razze, per quanto concerne il manto tigrato il concetto è diverso, e sarà oggetto d’ulteriore chiarimento.
Il cane dei nostri antenati
Per chi è nato, e vissuto, uomo o donna che sia in maremma, resta facile e scontato assimilare questo cane, al “nostro cane” perché da sempre è stato l’animale domestico che si poteva vedere nelle campagne, nelle case coloniche dell’Ente Maremma, andando a trovare amici o parenti o abitandoci come coltivatori diretti. Uno o più cani legati nei pressi della casa, accucciati in semicerchio, lo sguardo mesto, ma brillante di chi indeciso se continuare il riposo dopo aver scorrazzato per boschi, oppure pronto a ripartire per nuove emozioni. La visita, immancabilmente svolti i convenevoli o il disbrigo di ciò che era stato il motivo dell’incontro, finiva sempre su argomenti di caccia, andando a ricordare episodi dove indubbiamente l’autore principale era l’ausiliare e le sue gesta, puntualizzando come tizio o caio ” ha padellato quel bel verro dopo che la mi vecchia gli aveva abbaiato a fermo per un’ora!…L’avrei infilato”. (n.d.r. colui chi aveva sbagliato il tiro)
Vecchia/o era ed è un termine affettivo per indicare il soggetto, generalmente il cane o la cagna con più esperienza, più doti, che il proprietario distingue tra tutti, il cane che i canai della battuta rispetta ed è riconoscono come miglior soggetto,” senti la vecchia ha dato voce, l’ha trovato, vagli sotto.”
Queste ed altre le espressioni tipiche, di chi orgoglioso sa di possedere un buon cane. Così come apprezzata era la visita dell’amico che andandolo a trovare chiedeva:“ O la vecchia come sta? Ha perso tanto sangue, ma il vetrinaro cosa dice?” interessamenti che erano esternati con naturalezza senza falsi scopi, ma motivati essenzialmente dal rispetto. Il buon soggetto nelle campagne d’allora era ritenuto, tra i pochi che esercitavano questa forma di caccia, quasi un’autorità, rivestiva l’importanza del sindaco, del prete, del maresciallo. Il proprietario tenuto in altrettanta considerazione, giacché aveva avuto, l’abilità, la fortuna di potersi avvalere di simile esemplare.
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I nomi, poterli elencare tutti sarebbe uno spasso, la fantasia e l’umorismo che si abbinavano al cane, ed è tuttora così, nasceva da motivi più disparati; talvolta dal colore del manto “nerino”, altre da un difetto genetico “ chiaro” perché portatore d’occhio gazzuolo, “pelo” se un restone oppure: “ginetta, bianca, pallino, billo, speriamo, badalo”. Nomi presi in prestito da personaggi noti dello sport, come il calcio, la scherma, il cinema, il pugilato, per rispetto e ammirazione nei loro confronti, o da ripicche fomentate al bar “ ho preso una cagna da Baldo “ e l’altro “ o come la chiami perché l’ho presa anch’io”, ” il mi bimbo, la chiama vespa”. ” Se! Allora io la chiamo lambretta”; Quando negli anni ’50 / 60 c’era un dualismo tra i possessori dei due scooteres, oppure di quei proprietari che identificando la parità di campione imponevano il nome di “gino “ o “fausto” emulando i due grandi del ciclismo.
Sarcastico quel cacciatore che aveva assegnato il nome di un noto personaggio politico del momento, ed alla domanda del perché quel nome, aveva risposto “ semplice, perché è un cane”.
Certo per quanto sopra esposto, mi resta difficile pensare che tutto questo potrebbe ora finire, giacché il Maremmano sarà ufficialmente riconosciuto. Allevatori con tanto d’affisso imporranno nomi più consoni, seguiti dall’appellativo che li contraddistingue.
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Non tutto si può avere!
V’immaginate ad un barrage il presentatore chiama in pedana “ condotto dal signor………l’Ariègeois.” Artù” della Ghignola ed a seguire condotto dal signor…… il maremmano” Badalo” di poggio al melo.
Si perderà tutto quel folclore, quello spirito scanzonato che contraddistingue le umili radici.
Resteranno qui soggetti che non avranno possibilità genetiche e difformi allo standard, a questi andrà ancora la nostra simpatia.
Quando i figli raggiungono la maggiore età si perde qualcosa, si crea un certo distacco, una condivisione con altri.
Il Maremmano raggiungerà anch’esso la maggiore età assumerà nomi altisonanti uscirà definitivamente dai confini maremmani così ben definiti dal Sommo Poeta Dante Alighieri “quegli animali selvaggi che (in Maremma) tra il fiume Cecina e la località di Corneto odiano i luoghi coltivati, hanno (per loro dimora) macchie così irte e pungenti e così folte. Non c’erano foglie verdi, ma di colore scuro; non rami lisci e diritti, ma nodosi e contorti; non frutti, ma spine con veleno”
Il fiume Cecina a sud di Livorno e nella provincia stessa, traccia il confine nord della maremma Dantesca mentre Corneto in provincia di Tarquinia è il confine Laziale.
“quegli animali selvaggi….” È chiaramente rivolto ad i cinghiali
Non c’erano foglie verdi……sintetizza il folto del bosco le cui foglie di colore scuro per la scarsa fotosintesi dovuta alla mancanza di penetrazione del sole.
Così come: Non rami lisci e diritti, ma nodosi e contorti, … rami cresciuti alla ricerca di luce, pertanto contorti nella crescita, andando a trovare spiragli dove possibile,
ma spine con veleno” perché pungenti e dolorose, ciò ci fa credere possano essere quelle che noi del posto chiamiamo “rogarazze” che s’intessono da ramo a ramo creando un ambiente impenetrabile.
Quanto scrive Dante nel canto XIII° dell’Inferno, ci dà modo di riflettere e fare alcune deduzioni. Il paesaggio silvestre è così meravigliosamente descritto e corrispondente, che in molti luoghi è rimasto attuale. Adesso riflettiamo un momento e poniamoci la domanda “ che cane occorre per cacciare in simili macchie?”.
La risposta si trova descrivendo le doti attitudinali di caccia del segugio Maremmano.
Tutte le
foto: (c) Sergio Leonardi; allevatori dei soggetti in foto: Cenci Rinaldo, Topi Lauro, De Marco Sergio, Bogi Stefano.
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