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I difetti da squalifica del mantello del Bracco Italiano

 



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I difetti da squalifica del mantello del Bracco Italiano
Di Gian Carlo Perani

Argomento scabroso, ma d’attualità, scabroso perché in pochi si sono occupati dell’argomento e perciò poche notizie sono state raccolte e poche ricerche sono state fatte, ma scabroso soprattutto perché sembra quasi “tabù” parlarne o scriverne. E’ più facile occuparsi dei “si dice”, ovviamente appena sussurrati, che disporre di prove e testimonianze vere, supportate magari da ricerche, per capire da dove vengono e come appaiono certi aspetti e colori, qual è il meccanismo, la combinazione genetica che li favorisce. E’ argomento d’attualità perché in questi ultimi anni certe caratteristiche negative legate al mantello del Bracco Italiano sono riapparse con una certa intensità e frequenza.
Non si vuole ne criticarle ne condannarle, ma solo analizzarle, considerando alcuni aspetti, per poter trarne, eventualmente, conclusioni utili.
Anzi tutto bisogna dire che l’attenzione è rivolta verso alcuni aspetti del colore del mantello, quali il manto con focature, con striature e il manto unicolore. Va detto, altresì che non esiste uno studio approfondito su tali aspetti per poterli definire geneticamente come facenti parte, per ognuno di loro, di una serie all’elica inserita in apposite tabelle di simboli allelici specifici della razza Bracco Italiano, in pratica, non sono mai stati classificati.
Come non esiste nessuno studio specifico, sino ad ora, sulle caratteristiche genetiche legate al colore del mantello, di quasi tutte le razze canine da caccia e da ferma, eccetto, forse qualcosa in lingua inglese sul Setter o sul Pointer, che sono le razze da ferma più allevate.
Esiste, però, uno studio sulle caratteristiche genetiche del cane in generale, del genere “canis” per intenderci, con il quale si classificano le varie serie all’alleliche che determinano il colore del pelo e sono gli scritti di R. Robinson ”Genetics for dog breders” e di M. Willis “Genetics of the dog” non ultimo, l’introvabile “Genetica del cane” di M. Burns e M. Fraser quest’ultimo non in lingua inglese ma tradotto. A questi lavori si farà riferimento.

Roano-marrone.
Foto di titolo: bianco-arancio, roano-marrone e roano-marrone (tonaca di frate). Foto: Sabine Middelhaufe

C’è stato, per la verità qualche coraggioso che in un passato piuttosto recente si è cimentato con successo ed ha classificato le caratteristiche genetiche del manto del Bracco Italiano ed è il Sig. Bonasegale che per quel che ne so, è stato l’unico che ha affrontato i vari aspetti-colore della razza bracca in questi termini. (vedi l’annuario del Bracco Italiano dell’anno ’94)
La mia non vuol essere un’analisi genetica vera e propria, ma è solo frutto d’osservazioni d’aspetti incontestabili e il tentativo di inquadrare gli stessi in un contesto genetico. Spesso quando si riesce a comporre una formula genetica ci si accorge che è stata realizzata grazie a supposizioni e le uniche certezze, in questo campo sono sovente messe in discussione dall’operato della natura, che ci dimostra quanto siano effimere, a volte, certe nostre convinzioni, è necessaria tutta la nostra modestia, l’obbiettività e l’imparzialità di cui disponiamo per considerare certe argomentazioni e affrontare certi aspetti, per non rischiare di far torto a nessuno e cercare di essere utili a tutti.
E’ d’uopo ricordare, anche come queste caratteristiche, che potremmo impropriamente definire, inquinatrici siano presenti in tutte le razze canine da ferma e non; ovviamente le loro caratteristiche-colore variano a seconda della razza ospitante, ad esempio, se per la nostra razza bracca le focature sono difetto da squalifica, per il “Setter Gordon” sono invece considerate caratteristiche di razza e sono, al contrario considerate, per la razza Scozzese caratteristiche da squalifica le toppe bianche estese.

Roano-marrone. Foto: Giorgio Mele

Cominciamo, per esempio col dire che ci sono focature e focature, che si manifestano sia in presenza di Bianco Arancio sia di Roano Marrone, oggi il fenomeno è particolarmente presente e lo riscontra, per lo più su quei soggetti che presentano come fenotipo caratteristiche genetiche dominanti legate al colore, per dirla in breve sui R.M. in special modo quelli di tonalità scura (ma non è una costante!) e con il marrone esteso sulla maggior parte del corpo, spesso per esempio, la maschera facciale è ridotta a una “stellina” di colore bianco sulla fronte, un quasi “testa di moro”, anzi di più, poiché il colore scuro non occupa a mala pena solo la punta del muso, lascia al colore di fondo più chiaro, a volte, solo una riga, piuttosto stretta lunga quasi tutto il cranio, la cosiddetta “roanatura” occupa anche poca parte inferiore dell’addome e degli arti.
Come caratteristiche legate al Locus “S” (Spotting = macchie bianche) e probabilmente, in modo più preciso, “s\i” (irish - pezzatura irlandese) gene che non è del Bracco poiché certamente il n\s possiede il gene “s\p” (piebold - pezzato), oppure “s\w” (white) macchie bianche molto estese con poche e piccole macchie scure.
I soggetti portatori, detentori del gene “s\i” sono legati ad alcune correnti e manifestano quasi sempre alcuni aspetti morfologici inconfondibili, soprattutto nella conformazione della testa, (perché è vero il detto: che dalla testa si vede la razza e dalla coda la “famiglia”) quali la posizione dell’occhio, inserito quasi in posizione subfrontale, è spesso presente lo “stop” e gli assi cranio-facciali, quando non sono convergenti, sono pressoché paralleli.

Gordon Setter. Foto: Anita Bräu.

L’apporto di sangue fu certamente di origine al bionica, tant’è che negli atteggiamenti qualche soggetto che deriva dagli accoppiamenti in consanguineità con quelle correnti, ricorda le razze ferma inglesi che Sir Laverak ci ricorda, in alcuni suoi scritti, per certi ceppi o famiglie, esser fuse in una sola, tant’è vero che dall’accoppiamento, usuale a quei tempi, tra un Setter e un Pointer nacquero due prototipi, ognuno per la propria razza; inutili ai fini riproduttivi, ma pur sempre prototipi, esempio usato dal Prof. Magliano (Metodi di allevamento – “Sunto delle lezioni di zoognostica canina” di G. Solaro).
Voglio ricordare che in Inghilterra ancor oggi lo standard morfologico prevede, concede la comparsa di tutti i colori, compreso il focato, perciò è verosimilmente possibile che i nostri Bracchi, o almeno quelli appartenenti ad alcune correnti, abbia ereditato il carattere genetico focature proprio dai rinsanguamenti con razze inglesi e che detto carattere abbia trovato il terreno ideale per poter essere tramandato sino a noi e manifestarsi. E’ sicuramente un carattere genetico recessivo (per nostra grande fortuna!) che si manifesta grazie ad accoppiamenti fra consanguinei portatori di quel gene e omozigoti per quel che riguarda il colore; ma non sempre detto carattere segue la regola, perciò vien da pensare che sia un carattere “variabile” o a penetranza incompleta, sicuramente poligenico, al quale servono cioè le condizioni adatte, sono necessari, in pratica, le presenze di altri geni per potersi manifestare. Perciò è rapresentabile con l’allele “a\t” (“t” sta per tan) della serie “Aguti” e i soggetti che presentano tale colorazione certo detengono anche l’allele “b”, quando è presente la formula ”bb” si evita la formazione di pigmento nero, ma detto allele è spesso responsabile della presenza di quei poligeni modificatori (poligeni rufus) che possono essere i responsabili dell’apparizione delle focature.
Va da se che probabilmente, all’origine, l’allele “a\t” non facesse parte del patrimonio genetico della nostra razza, ha cominciato a farne parte grazie alle infusioni di sangue estraneo.

Cuccioli. Foto: Giorgio Mele

Non tutte le focature hanno avuto origine dai fermatori d’oltre Manica, ma haimè, in qualche corrente sono apparse grazie agli apporti di sangue segugio o almeno così sembrerebbe. Queste correnti sono state le più deleterie per quel che riguarda la trasmissibilità delle qualità specifiche del cane da ferma, chi in passato ha provato ad utilizzare tali correnti, con accoppiamenti anche consanguinei, o chi ebbe a capitarci dentro per caso o per errore, ne sa qualcosa! Il minimo che potesse capitare era il constatare l’attenuazione o addirittura la sparizione delle qualità morali e le attitudini tipiche dei fermatori, ovviamente sostituite dalle attitudini e dai comportamenti tipici delle razze seguge.
Oggi per fortuna il pericolo di incappare in uno di questi… errori è quasi sparito grazie alla capacità e alle scelte che i n\s allevatori fecero a suo tempo e soprattutto alla forza trasmissiva dei caratteri originari della razza.
Tornando ai colori, anche per queste focature possiamo fare l’analisi precedente, con una sola, anche se importante differenza, anzi probabilmente queste altre correnti sono le responsabili anche della colorazione “unicolore”. C’è da chiedersi come mai una così piccola popolazione di soggetti... inquinati, abbia potuto condizionare l’allevamento in modo così notevole! Bisogna però pensare che la razza Bracco Italiano non ha mai avuto un gran numero di nascite nell’arco dell’anno, è bastato un soggetto solo che sia arrivato al fatidico Campionato di bellezza o grazie alla bravura di qualche professionista al Campionato di lavoro e il gioco è fatto, il resto lo procura la mania, per altro insana e spesso inutile che condiziona ciclicamente gli appassionati di andare in massa a far coprire le proprie femmine prima dal tal Camp. poi dal talaltro.

Roano-marrone. Foto: Sabine Middelhaufe

Ma occupandoci ancora dei colori si può dire che la super estensione del colore, pensando a quei “unicolori”, di quelle correnti, probabilmente è da addebitare al carattere genetico ”E” (che sta per estensione) che spesso interagisce con la serie “Aguti” provocando notevoli variabilità di colore. Quasi certamente i soggetti in questione sono portatori del carattere “e” che risulta essere recessivo rispetto a “E” e che provoca la restrizione della distribuzione del pigmento scuro, perciò i soggetti omozigoti per questo carattere sono privi di pigmento scuro e quindi il colore del mantello è giallo o cannella.
E’ da notare come sia stato in passato più frequente e qualche volta anche oggi, la comparsa dell’unicolore arancio rispetto al marrone, forse perché in seguito ad accoppiamenti con soggetti “inquinati”, sospettando la comparsa di focature, per avitarle si rifuggivano gli accoppiamenti fra colori scuri (roano marrone) scegliendo così di utilizzare il bianco arancio con il risultato, per fortuna non frequente, di ottenere un bianco arancio (molto arancio poco bianco) con accenni di focature o un unicolore arancio.
E’ ovviamente logico supporre che anche il carattere “E” così espresso non sia mai appartenuto alla razza del nostro Bracco Italiano.
C’è da chiedersi perché i curatori dello standard morfologico considerassero da squalifica l’unicolore arancio, (che lo standard definisce nocciola) e non il marrone visto che potrebbero essere frutto della stessa espressione genetica. Anche se già Ciceri nel suo libro ammoniva sull’uso dell’unicolore marrone e non lo ammetteva come colorazione tipica. (“Il Bracco Italiano” pagina n°200, “la bellezza del mantello”) L’unica spiegazione possibile sta nel fatto che si sia identificato, definito il marrone unicolore come “super estensione” del colore dominante a danno dei “s\p” e “s\w” giacché detti caratteri sono recessivi rispetto alla tendenza verso l’unicolore.

Neonati. Foto: Giorgio Mele

I geni modificatori che influenzano notevolmente le distribuzioni delle aree bianche e del colore, aumentano o diminuiscono l’estensione di dette macchie cosicché è facile confondere i genotipi, in pratica: lo stesso mantello su due soggetti di differente provenienza genealogica può essere l’espressione di due formule genetiche differenti, perciò è comprensibile la tolleranza degli estensori dello standard, che nel dubbio cercarono di salvare comunque una caratteristica legata al colore, propria del Bracco.
C’è da osservare altresì, come per unicolore si intenda un soggetto che presenta, sì uniformità di tinta, ma anche con sparute e circoscritte zone di altro colore (bianco o roanate) al petto, punta degli arti, ventre, raramente muso, (ricordiamo che il bianco è colore non la sua assenza) questo per chiarire il concetto: quei soggetti che presentano macchie bianche nelle zone sopradescritte, vale a dire dove è più facile che appaiano e che vengono definiti “unicolori”, andrebbero, a parer mio, invece definiti: ”tendenti all’unicolore”; in natura è raro l’unicolore vero e proprio, a meno che non sia legato a fattori ambientali perciò di mimetismo, (orso polare, pantera ecc..) in allevamento canino è altrettanto raro a meno che sia una caratteristica di razza ben fissata (per es. barboncino, qualche terrier, ecc..)
Per quel che riguarda le striature, che possiamo osservare scure, brune su fondo marrone, ma anche talvolta chiare su fondo marrone e molto raramente, fortunatamente, brune su bianco arancio, si può fare lo stesso discorso che si è fatto per le focature, tant’è che le une e le altre vanno di pari passo, dove sono presenti le une compaiono spesso anche le altre, questo per le sole correnti di sangue che si son definite “inglesofile” (concedetemi il termine…|) perché in quell’altre con derivazione segugio il carattere striature non è presente, comunque non si manifesta con frequenza o intensità.

Levriero tigrato. Foto: Anja Arend.

Il carattere striature risulta notevolmente “variabile” e poco “espressivo”, che si manifesta cioè con molta variabilità di grado da un individuo all’altro, si può pensare che sia l’espressione del carattere “e\br” (brindle - striature) sono però quasi certo che concorre alla sua espressione anche un interazione con qualche altro carattere della serie “Aguti”, oltre alla concomitanza con “a\tan” come si è detto, relazione che, siccome non sono un genetista, non ho ancora trovato.
Anche per questi caratteri vale la considerazione precedente, che non siano stati cioè di appartenenza in origine della razza Bracco Italiano. Bene hanno fatto, perciò gli allora estensori dello standard della nostra italica razza a condannare certe caratteristiche, diciamo così, inquinatrici perché appartenenti ad altre razze con caratteristiche spesso contrastanti con quelle della nostra razza da ferma. La teoria che vuole l’appartenenza di certe caratteristiche-colore alla genesi della razza nostra, perciò all’origine, teoria peraltro tutta da provare, è in fondo solo un ipotesi, proprio come la mia, detto teorema non esclude la possibilità di selezione, anzi obbliga la necessità di dover selezionare, tra ciò che prescrive lo standard e ciò che lo stesso esclude o che vien definito caratteristica non gradita o non accetta. Coloro che diedero alla razza dimensioni, colore, forma e attitudini, non erano forse genetisti, la loro scienza era l’esperienza e la pratica, avevano dalla loro il buon senso e la logica, rifuggivano dai facili traguardi spesso illusori e dai protagonismi inutili sempre fuorvianti. Non avevano forse alcun principio teorico di genetica, ma con la pratica e soprattutto l’intuito (qualità che noi “moderni” abbiamo quasi perso del tutto!) supplivano alla mancanza. L’innata capacità intuitiva, rodata nel corso degli anni, permise loro di dedurre alcune leggi che regolano la trasmissione ereditaria di alcuni caratteri fondamentali e mettendola in pratica decidere gli accoppiamenti più vantaggiosi e fra le altre cose, stendere e poi ampliare o modificare gli standard di razza, compreso quello del Bracco Italiano. Per loro valeva la regola: ”vale più la pratica della grammatica”, regola che, per certi versi e in alcuni campi è valida ancor oggi. Se noi allevatori moderni fossimo così geniali e intuitivi, come quei grandi del passato, forse faremmo a meno della genetica e delle sue analisi.

Cuccioli. Foto: Giorgio Mele

Tornando al Bracco, non v’è dubbio che la grande e forte capacità di riprodurre e perciò tramandare i caratteri essenziali, originari e importanti che la razza possiede e che già in passato è stata messa a dura prova, saprà imporsi ed in parte eliminare quei “caratteri” che non gli appartengono, noi allevatori dal canto nostro, dovremmo solo aiutare il Bracco a rimanere… ”puro” d’abito e nello spirito, questo non per voler condannare quei soggetti che presentano certe colorazioni o additarli come spuri, ma solo per ricordare che il lavoro fatto dai “padri” della razza non va dimenticato, anzi va valorizzato, se loro rifuggivano dall’allevare certi colori il motivo ci sarà pur stato !?
Sono d’accordo con l’amico Colombo Manfroni quando dice che sarebbe disposto ad usare in riproduzione un bracco con mantello da squalifica solo a patto che il bracco in questione dimostrasse d’essere un gran Bracco Italiano in tutto e per tutto, nonostante il neo del colore, una volta sola, per “uscire” come si dice in gergo, senza perseguire certe caratteristiche.
Ci si deve ricordare che lo standard di razza è il nostro Vangelo, anche se a ben guardare qualche volta vien la voglia di qualche peccatuccio...

 

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