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Pensieri sul Drahthaar in Italia



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Pensieri sul Drahthaar in Italia
Di Marco Prandini

A volte mi domando se i padri fondatori di questa meravigliosa razza da caccia avessero previsto quanto successo avrebbe poi avuto in campo mondiale.
Queste menti geniali che crearono, non senza fatica, un cane poliedrico hanno di fatto reso possibile a gente come me e tantissimi altri, di poter godere di una razza eccezionale, frutto della loro progetta-zione e selezione.
Un risultato questo che tutti noi abbiamo l’obbligo di salvaguardare nel tempo, seguendo quelle linee guida dettate a suo tempo dalla Verein Deutsch Drahthaar.
Regole ferree che concatenate tra loro resero possibile il proseguo di un cammino preciso e diretto verso un unico bene comune il deutsch drahthaar, mantenendolo inalterato ai giorni nostri.
I cacciatori tedeschi ebbero per primi il desiderio di avere in canile, un ausiliare polivalente che racchiudesse le qualità e le predisposizioni di un cane da seguita, da ferma, da cerca, da riporto, da recupero e da guardia…alla selvaggina.
Questa era un’esigenza nuova così come la razza che si stava creando, una risposta ad un bisogno di avere tra le mani un cane che potesse essere valido e proficuo dalla montagna, alla pianura, dal bosco al lago o come si dice dalle mie parti buono per il re e la regina.
Un animale che potesse aiutare il cacciatore di allora come quello odierno a raccogliere non uno ma tutti i molteplici frutti della nostra terra.

I drahthaar dell'autore.

Troppe sono le imprevedibili varianti che l’agricoltura, il territorio e la fauna offrono a noi viandanti con il fucile, troppe, improvvise e solo un cane con una centralina elettronica così complicata può aiu-tare il moderno nembrotte a godere di questa offerta di madre terra.
Ora noi Italiani, maestri dell’imperfetto, così concentrati nel voler sempre modificare piuttosto che scegliere ci siamo pure messi in testa di diversificare quello che altri hanno faticosamente unito.
Robotizzando i nostri amati ausiliari e finalizzando tutto ad una ferma laggiù sull’orizzonte, così lon-tano dalla nostra lunga mano armata, rendendo difficile se non impossibile lanciare una piccola man-ciata di pallini al selvatico fuori tiro.
Dimenticandoci che il cane deve essere utile anche dopo il colpo di fucile, soprattutto quando il tiro è reso imperfetto da mille difficoltà lasciando poi, come materiale di risulta sul terreno tanti, troppi animali feriti.
L’italianità come bandiera per limitare la portata delle predisposizioni, quando non esiste un vero e solo metodo di caccia nazionale dalle Alpi alla Sila, passando per le risaie della lomellina ai boschi della maremma o alla laguna veneta.
E io che vivo per i cani e non con i cani queste cose non riesco a farmele piacere ne tantomeno a capir-le. Dovrei lobotimizzare il mio cane per sostenere che l’immobilità al frullo è la sola cosa importante su cui selezionare …questo non lo farò MAI.
Lascio ad altri il compito di modificare quello che con tanta fatica alcuni abili progettisti genetici so-no riusciti ad ottenere; io continuo sulla strada maestra, fatta di esami e ancora esami, statistiche, verità pubbliche e progetti allevatoriali, non tenendo nascosto a nessuno ne pregi ne difetti dei miei esemplari, mettendoli alla prova sui vari terreni con mille difficoltà.
Il deutsch drahthaar unico vero specifico specialista nella genericità.

Dafne e il moriglione. Foto iniziale: Nonatula Giò alla HZP.
Tutte le foto Marco Prandini

 

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